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A seguito dell’emergenza sanitaria causata dal Covid-19, e alla luce delle misure adottate dal Governo, tutte le scuole di ordine e grado sono state chiuse, al fine di contenere il diffondersi della pandemia. Se il decreto “Cura Italia” ha previsto alcuni strumenti per sostenere (alcune) famiglie in questo particolare momento (ad esempio il bonus baby sitter o l’estensione dei congedi parentali), nulla è stato espressamente previsto nel “Decreto Rilancio” per disciplinare invece una questione di interesse molto diffuso: l’esigibilità della sorte delle rette scolastiche delle scuole dell’infanzia e dell’asilo nido. D’ora innanzi accomuneremo nell’espressione “scuole” sia quelle d’infanzia che dell’asilo nido, per celerità di lettura, prediligendo analizzare la vicenda da un punto di vista giuridico. Molti genitori infatti, si stanno chiedendo, e mi stanno chiedendo come si debbano comportare rispetto alla richiesta di pagamento della retta mensile della scuola, pretesa anche a fronte dell’impossibilità di ricorrere a forme didattiche a distanza, incompatibili specie nelle fasce più tenere d’età (la bistrattata 0-3 anni).
Come spesso accade in Italia, per la stessa situazione, vengono adottati due pesi e due misure. Se per gli asili pubblici (Statali e Comunali) le Amministrazioni locali si sono generalmente orientate per la sospensione della retta, per chi ha iscritto i figli in strutture private, il discorso si complica, in quanto nonostante l’impossibilità di fruire del servizio, molte scuole non hanno interrotto le proprie richieste di pagamento delle rette, se non in maniera simbolica.
Che la coperta economica fosse corta, troppo corta, era fatto noto, che il silenzio sulla materia da parte del Governo sarebbe stato così assordante, forse nessuno se lo sarebbe atteso.
Per capire quindi, se sia giuridicamente corretta la pretesa della retta da parte della scuola, con rifermento ai mesi di chiusura forzata, è necessario procedere per step.
Un primo elemento da valutare (chiamiamola “fase 1” è la verifica della sussistenza o meno di un contratto firmato in sede di iscrizione, o l’adesione (più o meno consapevole) al regolamento d’istituto.
Di fronte ad un contratto o un regolamento, sarà opportuno esaminare se siano presenti delle clausole c.d. di forza maggiore che disciplinino specificamente la materia, prevedendo per esempio la possibilità di sospendere gli obblighi derivanti dal contratto (servizio scolastico e pagamento), ridurre i termini di pagamento, o addirittura la risoluzione del contratto stesso.
Per quanto sia divenuto oggi parte del linguaggio comune il tema “dell’impossibilità sopravvenuta per fatto del terzo”, difficilmente si incontrano nella professione, redattori di regolamenti o contratti tanto illuminati, che abbiano in un periodo di assoluta indifferenza culturale (ancor prima che giuridica) per tale argomento, fatto specifiche previsioni per le situazioni pandemiche o assimilate.
Prima quindi di adottare ogni decisione, è doveroso verificare l’esistenza di tali documenti, nonché la loro validità giuridica (opera questa, che suggerisco demandare a persone qualificate).
Fatta questa preliminare ma importantissima verifica, ed ipotizzando che nulla sia previsto, dobbiamo rifarci al codice civile, ed in generale al diritto vigente (chiamiamola pure fase 2).
Innanzi tutto è bene precisare che i servizi offerti dalle strutture scolastiche quali asilo nido e scuola dell’infanzia, sono obbligazioni a prestazioni corrispettive: infatti in cambio dei servizi scolastici resi dall’istituto, il genitore paga una retta. Ma se il servizio non può essere erogato per causa non imputabile al debitore (genitore) o per un ordine o divieto provenienti dall’autorità (factum principis), cosa succede?
Richiamando i principi stabiliti fra gli altri dall’art. 1256 del codice civile, possiamo affermare che se la scuola non può erogare il servizio nemmeno il genitore è obbligato a pagarne il corrispettivo sotto forma di retta.
Pertanto, le rette per i mesi di chiusura forzata della scuola non sono dovute, certamente non nella misura piena.
Bisogna difatti ricordarsi, che alcuni costi fissi delle strutture, di natura annuale, vengono suddivisi a volte per comodità nel corso dell’anno, e tali obbligazioni, non necessariamente rientrano nell’inesigibilità per impossibilità sopravvenuta, perchè quota parte di un servizio non riconducibile alla frazione mensile. Queste voci per esempio, difficilmente potranno essere contestate, e la loro esigibilità appare legittima.
In sostanza dunque, occorre verificare caso per caso il contratto sottoscritto, onde tutelare al meglio i propri diritti.
Detto ciò, sia consentita umanamente una considerazione più ampia, figlia del ricordo che le stesse strutture oggi private dei nostri contributi, sono le stesse che fino a ieri ricevevano con amore i nostri figli.
Il rischio concreto, è che a settembre, molte di queste non riescano ad aprire proprio per la carenza di liquidità di questi mesi, con gli ovvi risvolti conseguenti alla cronica carenza di ricettività delle strutture pubbliche.
Purtroppo, la risoluzione di questo conflitto fra “scuola e famiglia”, è demandato, come spesso accade in Italia, alla contrattazione privatistica, che alla luce delle ragioni sopra svolte, ben potrà, con un proficuo dialogo, trovare un punto d’intesa che non depauperi le famiglie per un servizio non fruito, e consenta alle scuole di ricevere quanto dovuto, perchè effettivamente richiedibile.
Avv. Francesca Zennaro