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Effetti del coronavirus sulle locazioni commerciali

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E’ oramai purtroppo noto a tutti come l’emergenza da Covid-19 stia incidendo in maniera devastante non solo sul nostro sistema sanitario, ma con altrettanta prepotenza sulla nostra economia, già precaria in seguito alla crisi degli ultimi anni.

Gli effetti del lockdown e delle successive “semi-aperture” della famosa Fase 2 hanno determinato una situazione di inimmaginabile straordinarietà che sta generando una profonda crisi tra gli esercenti, i quali si sono visti dapprima preclusa e ora rigidamente limitata la possibilità di svolgere la propria attività d’impresa.

In considerazione del fatto che moltissime di queste attività vengono esercitate all’interno di locali condotti in locazione, ci troviamo di fronte ad una platea di conduttori che si trovano nella gravosa condizione di non riuscire ad onorare i propri debiti, ivi compreso il canone di locazione.

A livello governativo infatti le uniche misure di sostegno adottate riguardano il riconoscimento a favore del conduttore di un credito d’imposta pari al 60% dell’ammontare del canone di locazione (dapprima limitato agli immobili rientranti nella categoria catastale C/1, ovvero negozi e botteghe, e successivamente esteso con il c.d. “Decreto Rilancio” alle altre categorie di immobili ad uso commerciale).

Di portata più ampia la norma contenuta nel D.L. n. 18 del 17/03/2020 (c.d. “Decreto Cura Italia”) che, all’art. 91, prevede che “…il rispetto delle misure di contenimento è sempre valutata ai fini dell’esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore, anche relativamente all’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardi o omessi adempimenti”.

Di questa disposizione, ahimè, abbiamo assistito negli ultimi mesi ad un uso/abuso sconsiderato poiché molti sono stati i conduttori i quali, attraverso un’interpretazione estremamente allargata della norma, hanno preteso di essere esonerati ex lege dal pagamento del canone di locazione.

Ma attenzione!

La norma citata non introduce un esonero automatico del debitore da responsabilità per inadempimento, ma si limita a rendere obbligatoria in capo al Giudice la considerazione del contesto emergenziale e delle limitazioni alle attività d’impresa, quali criteri per valutare l’atteggiamento del conduttore debitore.

Pertanto è importante ricordare che la disposizione in parola, proprio perché presuppone una valutazione da parte dell’autorità giudiziaria, non comporta un effetto liberatorio automatico a favore del conduttore il quale, chiamato a rispondere per il mancato pagamento del canone, dovrà necessariamente dimostrare di essere incorso nell’inadempimento per esclusiva causa legata alle misure straordinarie adottate dal Governo.

Cosa fare allora per superare l’inevitabile impasse che si crea all’interno del rapporto tra locatore e conduttore?

La risposta che offre il nostro ordinamento è alquanto “drastica”, nel senso che lascia poco spazio alla sopravvivenza del rapporto.

Il conduttore in difficoltà e preso alle strette potrebbe infatti esperire diverse azioni, quali il recesso per gravi motivi (art. 27, ultimo comma, Legge 392/78), o la domanda di risoluzione per impossibilità sopravvenuta del locatore (esperibile tuttavia nel solo caso, a mio parere, che la chiusura dovesse riguardare gran parte del periodo contrattuale), o ancora la domanda di risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta ex art. 1467 c.c.

Tuttavia trattasi, in tutti i casi, di pseudo-soluzioni che alla fine non realizzano l’interesse né del conduttore, che presumibilmente ha interesse a mantenere in vita il contratto per poter continuare la propria l’attività, né del locatore che si troverebbe con un bene infruttifero.

Solo nel caso della domanda di risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta, infatti, il locatore può evitare lo scioglimento del rapporto offrendo una riduzione del canone.

Innanzi ad un Governo che non è in grado di offrire misure di sostegno sufficienti e ad un ordinamento che, a sua volta, stante la peculiarità del contesto, non dispone di soluzioni in grado di contemperare gli interessi in gioco, ritengo che la scelta più conveniente per entrambe le parti sia quella di addivenire ad un accordo che preveda la temporanea riduzione del canone o la modifica delle condizioni di pagamento.

Che poi non è altro che l’espressione del principio di buona fede previsto dall’art. 1375 c.c. che impone alle parti di cooperare per conservare la congruità del rapporto.

In quest’ottica e con l’intento di evitare il più possibile il contenzioso che, come abbiamo visto, difficilmente realizzerà l’interesse di alcuno e in tempi brevi, il consiglio è dunque quello di intraprendere un percorso di negoziazione, magari con l’ausilio di un professionista del settore, al fine di raggiungere un equo compromesso.

Per quanto più concerne l’aspetto fiscale della questione, l’eventuale accordo di riduzione (anche temporanea) del canone, dovrà essere registrato presso l’Agenzia delle Entrate.

La registrazione è esente da imposte e da bolli ed è importante perché in questo modo i locatori, pur vedendo ridotta l’entrata mensile, pagheranno imposte solo su quanto effettivamente riscosso.

Avv. Gessica Vanucci

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